Questa relazione poteva essere salvata?
Sono una ragazza di 29 anni e circa 4 mesi fa ho vissuto una violenta separazione dal mio ex compagno di 35 anni. Siamo stati insieme quattro anni, di cui due di convivenza.
Sin da subito, mi sono accorta che fossimo due persone estremamente diverse: io riflessiva, lenta nella mia presa di decisione, molto insicura; lui molto pragmatico, pieno di sé e con le idee chiare sulla nostra relazione.
Durante i primi due mesi di relazione, lui ha deciso di presentarmi ai suoi genitori e a tutti i suoi amici; io, di fianco, ho cercato di presentarlo ai miei amici, ma spesso lui dava buca a me e agli appuntamenti che cercavo di organizzare con le persone della mia cerchia.
Ho vissuto quindi, dall'inizio del nostro rapporto, questa discrepanza tra le sue azioni: da una parte si proiettava tanto nel futuro con me (facendomi entrare in maniera importante nelle sue cerchie, facendo progetti con me, introducendomi alla sua famiglia), dall'altra si teneva lontano dalle mie persone e dai miei interessi. Quando cercavo di esprimergli i miei dubbi e la mia frustrazione a riguardo, lui sminuiva i miei timori e mi diceva di fidarmi di lui.
In generale, quando mi mostravo dubbiosa o ricercavo la sua attenzione perché venisse più incontro ai miei bisogni, spesso mi sentivo dire che ero infantile e che dovevo capire che tutto ciò che lui decideva, lo decideva per il bene di entrambi.
Di fianco a questi momenti in cui mi sentivo repressa e non ascoltata, lui era anche in grado di regalarmi momenti di gioia e felicità importanti (aveva un modo di pensare e di parlare molto interessante e carismatico, e essere al suo fianco mi faceva in qualche modo sentire speciale).
Il primo anno e mezzo della nostra relazione è stato molto limitato dalle restrizioni per la pandemia di Covid. A causa di queste, solitamente ci vedevamo solo quando io lo andavo a trovare a casa dei suoi genitori dopo il lavoro, pertanto spesso mi sentivo l'unica parte attiva della coppia, anche perché quando andavo da lui, non era raro che decidesse di passare il tempo svolgendo altre attività che non mi coinvolgevano (trovava noioso trascorrere le tre ore che avevamo a disposizione guardando film, e mi incolpava perché non proponevo di fare altro).
Tutti gli elementi di fastidio che ho descritto finora, mi portavano a non affidarmi completamente a lui, per questa ragione per due anni sono rimasta restia dal presentarlo alla mia famiglia. Al tempo stesso, mi era difficile accettare l'idea di lasciarlo, perché era estremamente bravo a convincermi del fatto che tutto ciò che era necessario fare per stare insieme lui lo faceva (era fedele e si proiettava nel futuro con me).
Passato il primo anno e mezzo di relazione, lui decide di voler prendere una casa con me. Io, che non lo avevo ancora presentato alla mia famiglia e che soprattutto vivevo la relazione in maniera molto insicura (avevo cominciato a frequentare solo le sue persone, e passavo tutto il mio tempo libero con lui), gli dico che preferirei aspettare ancora un po' per cercare di trovare un equilibrio di coppia migliore. Lui dapprima accetta, poi nel giro di poche settimane cambia idea e mi dice che se non mi fossi trasferita con lui, mi avrebbe lasciata. Nascono da qui furiose liti, che si ripetono per mesi, alla fine di ognuna delle quali sono io che devo chiedere scusa perché mi sto comportando da bambina o perché non sono all'altezza della situazione.
Le liti si alternavano a momenti di dolcezza in cui lui mi porta a immaginare una casa insieme, descrivendomi quanto sarebbe stato bello trovare finalmente i nostri ritmi e la nostra intimità in uno spazio nostro. Alla fine mi convinco, iniziamo a cercare e quindi troviamo una piccola casetta nella zona centrale del nostro paesino. La casa ha alcune problematiche da risolvere, per questo non è vivibile da subito, sfrutto quindi il periodo in cui non avremmo potuto stabilirci lì definitivamente per presentarlo alla mia famiglia.
Gli segnalo, prima di farlo, che i miei genitori sono molto attenti alle norme della buona educazione, e che una volta entrato in famiglia avrebbe dovuto farsi vedere con una certa frequenza.
Lui accetta e inizialmente le cose sembrano andare meglio: si presenta diverse volte a casa dei miei genitori, sembra felice di prendere decisioni insieme sulla casa, e io inizio a credere che le cose andranno meglio.
Passa qualche mese, in maniera ostinata cerca di risolvere tutte le questioni relative alla casa che ci impedivano di trasferirci lì in pianta stabile, e quindi iniziamo a stare lì insieme.
Mi rendo conto da subito che dividere gli spazi con lui è difficile. Posiziona le cose in casa in maniera rigorosa e diventa intrattabile facilmente se qualcosa non è come lui si aspetta che sia.
Sposta le mie cose, mi intima di essere meno disordinata (anche se io cerco di fare estrema attenzione a lasciare tutto in ordine), mi prende in giro se resto a dormire fino a tardi quando non devo lavorare, dandomi della svogliata.
Nel giro di qualche mese la convivenza diventa sempre più rigida. Mi segnala che pulisco sempre troppo poco e che non sto aiutando a sufficienza in casa. Durante una lite, prende il mio mazzo di chiavi dalla borsa e toglie via le chiavi di casa, dicendomi che non mi stessi impegnando a sufficienza per poterci restare. Da questo momento in poi cominciano liti verbalmente violente, alla fine delle quali io spesso inizio a manifestare rabbia esplosiva, oppure al contrario scappo al confronto e torno a dormire dai miei. In ognuna di queste circostanze, piena di sensi di colpa, torno indietro e gli chiedo scusa promettendogli di cercare di comportarmi meglio, ma puntualmente e ciclicamente esplodo di nuovo.
In mezzo a questi eventi così negativi, ogni volta che ci riappacifichiamo le cose sembrano tornare al loro posto e viviamo momenti di felicità passeggera che mi portano a pensare che quello che stiamo vivendo siano solo scosse di assestamento che supereremo fino a raggiungere i nostri equilibri.
A inizio dell'estate del 2023, lui inizia a lamentarsi della casa in cui vivevamo. Non gli piace più e vuole trasferirsi in un posto migliore per entrambi. Poiché la mia famiglia ha diverse casa di proprietà, gli propongo di spostarci in una di queste. La casa in questione si trova in posizione centrale, è ammobiliata e non è troppo grande, ma si trova in un condominio. Lui se ne lamenta dicendomi che non tollera più vivere in condominio, perché non si sente libero. Quindi gli propongo un'altra casa, una villetta in campagna a qualche chilometro dal paese, vivibile solo in estate mancando l'impianto di riscaldamento.
Lui accetta subito. Perché durante le liti ho manifestato episodi di rabbia importante, e perché sono sempre nervosa, mi dice che sicuramente andare a stare in campagna mi farà migliorare.
Sollevo la questione relativa al riscaldamento mancante, gli dico che non mi sarei potuta permettere nel breve periodo di acquistare caldaia e termosifoni, e lui risponde dicendomi che avremmo dovuto trasferirci in campagna il prima possibile e che mi avrebbe aiutato con le spese.
Accetto, speranzosa di aver finalmente imboccato una strada di crescita con lui. Iniziamo a chiedere preventivi e infine selezioniamo la soluzione migliore.
Vengono installate caldaie e termosifoni e ci viene dato modo di dilazionare i pagamenti nei mesi successivi. Più si avvicinano i termini di pagamento e più lui inizia a cambiare versione, fino a che non mi trovo a occuparmi della spesa intera da sola.
Nascono nuove liti importanti, mi trovo spesso a sbraitare, sono sempre nervosa all'inverosimile, lo tratto male come sento che lui tratta male me, uso violenza verbale e ad un certo punto non riconosco più neanche me stessa.
Lui continua ad essere giudicante e altezzoso, fino a che dopo l'ennesima lite decide di andare via.
Scompare per giorni, e io mi ritrovo da sola in campagna, incapace di dormire di notte, sentendomi come su una barca in mezzo alla tempesta.
Scopro da conoscenze in comune che non torna a casa perché ha avuto un esaurimento nervoso a causa mia. Dice di volere una donna che lo riconosca per l'uomo buono che è, che si sente succube di me perché non ho fatto nulla per curare i miei scatti di ira, e perché con essi l'ho traumatizzato. Mi fa il vuoto intorno portando tutta la cerchia dei suoi amici (che erano ormai diventati le mie uniche frequentazioni) contro di me.
Si ripresenta in casa dopo una settimana per recuperare i suoi vestiti, e davanti a me balbetta, trema, e ha il fiato corto. Mi scuso per i miei comportamenti, ma non gli chiedo di tornare perché mi riconosco causa del suo male. Soffro di solitudine e di sensi di colpa.
Torna ancora a casa prendendosi le sue cose a scaglioni, si lamenta perché non sto facendo niente per recuperare la situazione, mi accusa di non averlo mai amato.
In quei giorni vivo una profonda dissociazione, non so più chi sono, perché sono in quel posto e nemmeno come siano potuti succedere tutti quegli eventi. Ricordo solo di aver dato di matto, di aver urlato, e insultato. Mi sento in colpa ancora e ancora.
Si ripresenta di nuovo, mi accusa per ciascuna delle mancanze avute negli anni, mi dà dell'incapace, mi ripete che lui (al contrario mio) ha fatto tutto ciò che c'era da fare per stare insieme. Esplodo e riesplodo ancora in manifestazioni di rabbia piene di insulti.
La situazione implode su sé stessa, gli intimo di prendere i suoi vestiti e appena lo fa, lo blocco su tutti i canali. E così terminano quei 4 anni, senza dignità, nel silenzio assordante.
Dopo qualche mese dagli ultimi eventi mi ritrovo spesso a colpevolizzarmi, mi dico che se fossi stata diversa le cose avrebbero funzionato, che alla fine aveva ragione lui. Eppure, al solo pensiero di rispettare i suoi canoni stringenti mi irrigidisco e provo di nuovo rabbia.
Qualsiasi cosa fosse ciò che ho vissuto, era salvabile?